Una visione eterea, su cui non ha influito il fattore tempo, se non in senso positivo. Questa la sensazione quando nella seconda serata del Festival di Sanremo ha disceso la scalinata ventun anni dopo la sua vittoria con Luce (Tramonti a Nord Est). Elisa torna a Sanremo da star. Un abito bianco, che lascia scoperte le spalle, che avvolge la figura rendendola ancora più femminile, con un ampio manto che lo circonda, disegnato appositamente per lei da Pier Paolo Piccioli, della maison Valentino. Capelli sciolti, il trucco che riporta di moda l’eyeliner bianco, in pieno stile Euphoria. La delicatezza della sua esibizione, sicura ma non sfrontata, di grande impatto, ma non urlata, rappresenta il punto di arrivo della cantautrice, l’evidente la maturità artistica che ha raggiunto. L’armonia delle sue melodie, il vibrato nel ritornello, la capacità di coinvolgere, il crescendo della musica, che emoziona. O forse tu balza in testa alla classifica provvisoria, come da pronostico dei bookmaker alla vigilia, con Mahmood e Blanco e la loro Brividi.
Elisa e l’apparizione (vittoriosa) nel 2001
Nel 2001 alla sua prima apparizione all’Ariston, apparve scalza, scandalizzando molti, ed anche allora fece la scelta di vestire in bianco, che la cantautrice considera un non colore, con abiti interamente disegnati da lei. Ha spiegato di averlo scelto perché nella cultura cinese, a cui è molto legata, e rappresenta il colore del lutto. Lo reputava giusto perché della fine di un amore si parlava in Luce.
Allora ventitreenne, Elisa era già celebre per il suo repertorio interamente in inglese, si esibì per la prima volta in italiano con un brano scritto in collaborazione con Zucchero. E quell’anno vinse la 51esima edizione del Festival ed anche svariati premi, tra cui il Premio della Critica Mia Martini. Quella di ieri sera è la sua seconda partecipazione in gara nella kermesse canora, mentre svariate sono state le sue presenze come ospite. L’idea di vestire nuovamente di bianco è un omaggio ad allora. O forse tu è una ballata pop, dove il crescendo degli archi proietta la sua voce verso l’alto, enfatizzando questa visione eterea, celestiale. Un brano dedicato alla complicità, che si ottiene anche senza parlare, alla vicinanza anche nella distanza, quell’essere presente nella luce, ma soprattutto in “quell’istante che ti porterà una piccola felicità, quella stupida voglia di vivere“. Splendida la metafora della musica che risuona in ogni parte nella notte. Un desiderio spontaneo ed innato, un inno a tornare a sorridere, dopo un periodo così buio. Speriamo sia un bellissimo presagio, e che questa figura angelicata, ne sia il cantore.
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