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Pamela Mastropietro: legittime le intercettazioni di Oseghale in carcere

Sono legittime, per modalità e imputazioni, le intercettazioni di 7 colloqui avuti in carcere – ad Ancona e Ascoli Piceno – da Innocent Oseghale con la compagna e con altri detenuti. E’ quanto deciso dal giudice di Macerata Marika Vecchiarino nel processo per spaccio di droga a carico del 30enne pusher nigeriano. Quest’ultimo imputato in un processo parallelo per l’omicidio e lo smembramento di Pamela Mastropietro. Come scrive l’Ansa, Oseghale, in questo caso deve rispondere di cessione della dose di eroina assunta da Pamela prima di essere uccisa, di detenzione di 99 grammi d’eroina e spaccio di hascisc.

I difensori dell’uomo, gli avvocati Simone Matraxia e Umberto Gramenzi, avevano sollevato eccezioni di inutilizzabilità delle intercettazioni disposte dalla procura di Macerata nell’inchiesta sull’omicidio della 18enne romana, ma che avevano carpito dialoghi anche su fatti di droga. Per il tribunale fu legittimo l’utilizzo di apparecchiature del carcere sia per le “eccezionali ragioni” sia per la “natura delle imputazioni”. Il giudizio proseguirà il 22 febbraio.

Le scuse di Oseghale

Il nigeriano è accusato di aver ucciso e fatto a pezzi il corpo della 18 enne romana. Nel corso della recente udienza preliminare nel tribunale di Macerata, l’uomo ha esposto la sua versione dei fatti e chiesto scusa ai familiari di Pamela. “Sono davvero dispiaciuto per quello che ho fatto – afferma Oseghale – e quando ho realizzato la portata del crimine che avevo compiuto sono stato malissimo. Chiedo perdono alla famiglia di Pamela Mastropietro e agli italiani per quanto è accaduto il 30 gennaio”. Il nigeriano conferma che il rapporto sentimentale con Pamela fosse assolutamente consensuale. “Noi eravamo entrambi felici insieme – scrive nella sua lettera di scuse  – Tutto ciò che chiedo è di avere un’altra possibilità e il perdono“.

Pamela Mastropietro, le accuse scioccanti: “Chiesa pagò casa a Oseghale”

In un’intervista ad AffaritalianiMarco Valerio Verni, zio di Pamela e legale dei familiari, cerca di fare il punto della situazione. Dalle sue parole emerge, però, un particolare non di poco conto: una parrocchia di Villa Potenza, frazione di Macerata, ha offerto sostegno logistico ed economico ad Oseghale, che all’epoca era già stato condannato per droga.

“A quanto pare, una parrocchia di Macerata ha pagato per tre mesi l’appartamento abbastanza lussuoso dove viveva Innocent Oseghale, imputato per la morte di Pamela. Si trattava di 450 euro al mese. – dichiara Verni -. Ecco spiegato, forse, l’atteggiamento davvero tiepido del vescovo di Macerata e il silenzio della Chiesa su questa vicenda orribile. Sulle indagini, ci sono state, indubbiamente, forti pressioni: mi ricordo che dopo la scoperta dell’orribile omicidio, ed i fatti di Traini, lo stesso ministro Orlando fece visita alla Procura di Macerata. Avevo chiesto, recentemente, di accedere all’appartamento degli orrori con i miei consulenti: mi è stato negato. Perché?”

I collegamenti con la mafia nigeriana

Lo zio di Pamela continua: “Gli inquirenti hanno accertato che Pamela non è morta di overdose. Ma per almeno due coltellate al fegato. E un collaboratore di giustizia, il cui nome è segreto, ha dichiarato che Oseghale gli ha confidato di essere un membro della mafia nigeriana. Macerata è risultata essere stata divisa in tre zone di spaccio: non credo sia un caso che essa si trovi a metà strada tra Padova e Castel Volturno, due centri proprio della mafia nigeriana”. L’avvocato poi aggiunge: “dalla autopsia è risultato che Pamela aveva assunto oppiacei nei due mesi precedenti la sua morte: Ma se lei non poteva né uscire né telefonare dalla comunità dove stava, come è stato possibile questo? E inoltre: è stata fatta una ispezione in quella comunità?“. Verni è ora in attesa dell’inizio del processo: “Sarà il processo della civiltà contro la barbarie” afferma.

 

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