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Covid, fra le donne sempre più casi di “sindrome dal cuore spezzato”

Il Covid-19 potrebbe fare da “innesco” per altre patologie. In particolare per la sindrome di Takotsubo. Una patologia grave e per molti forse misconosciuta. Si può chiamarla anche “Sindrome del cuore spezzato” o da crepacuore.

Si tratta della cardiomiopatia da stress e colpisce soprattutto le donne di mezza età, in conseguenze di un’emozione tanto intensa da risultare insopportabile o potenzialmente letale. Può essere la perdita di un amore, uno shock improvviso, un problema che irrompe nella vita portando stress e sofferenza.

Adesso un team di scienziati statunitensi ha voluto studiare l’impatto del coronavirus su questa sindrome. E ha riscontrato un “aumento significativo” del numero dei pazienti con diagnosi di cardiomiopatia da stress. Si è scoperto che l’incidenza della sindrome di Takotsubo è schizzata al 7,8% dall’1,7%. Pubblicato sulla rivista “Jama Network Open“, lo studio porta la firma di ricercatori della Cleveland Clinic.

I cardiologi hanno esaminato i casi di 258 pazienti entrati nelle loro strutture di Cleveland con sintomi da sindrome coronarica acuta (Acs) tra l’1 marzo e il 30 aprile. Un periodo di tempo di piena emergenza Covid. Hanno poi confrontato i casi con 4 gruppi di pazienti affetti dai sintomi prima della pandemia.

È emerso non solo l’aumento dei casi di Takotsubo, ma anche che i pazienti con cardiomiopatia da stress hanno avuto un ricovero ospedaliero più lungo rispetto a chi ha avuto la sindrome prima che Sars-CoV-2 cominciasse a diffondersi. Per fortuna, aggiungono gli autori, non c’è stata alcuna differenza significativa nella mortalità tra i gruppi osservati. Tutti i pazienti con Takotsubo sono risultati negativi per Covid.

Domenico Coviello

Attualità, Politica ed Esteri

Professionista dal 2002 è Laureato in Scienze Politiche alla “Cesare Alfieri” di Firenze. Come giornalista è “nato” a fine anni ’90 nella redazione web de La Nazione, Il Giorno e Il Resto del Carlino, guidata da Marco Pratellesi. A Milano ha lavorato due anni all’incubatore del Grupp Cir - De Benedetti all’epoca della new economy. Poi per dieci anni di nuovo a Firenze a City, la free press cartacea del Gruppo Rizzoli. Un passaggio alla Gazzetta dello Sport a Roma, e al desk del Corriere Fiorentino, il dorso toscano del Corriere della Sera, poi di nuovo sul sito di web news FirenzePost. Ha collaborato a Vanity Fair. Infine la scelta di rimettersi a studiare e aggiornarsi grazie al Master in Digital Journalism del Clas, il Centro Alti Studi della Pontificia Università Lateranense di Roma.

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