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Marco Vannini, la famiglia Ciontoli ricorre in Cassazione: “La pena va ridotta”

Non c’è pace per i genitori di Marco Vannini. La famiglia Ciontoli ha fatto sapere che ricorrerà in Cassazione per chiedere la riduzione della pena. Inoltre chiedono che non venga riconosciuta l’aggravante di “colpa cosciente” per l’omicidio colposo del 20enne di Ladispoli. A depositare il ricorso nei giorni scorsi è stato il legale di Antonio Ciontoli, l’avvocato Pietro Messina. 

Per quanto riguarda gli altri componenti della famiglia Ciontoli, ovvero Martina Ciontoli, il fratello di lei, Federico e la madre Maria Pezzillo, il legale avrebbe chiesto “l’assoluzione secca” per tutti e in alternativa, uno sconto di pena.

Marco Vannini, nuove testimonianze mettono in dubbio la versione dei Ciontoli

Il programma Le Iene è tornato a discutere della dolorosa vicenda di Marco Vannini, il ragazzo di Ladispoli morto nel 2015 a casa della sua fidanzata, Martina Ciontoli. Per il suo omicidio fu condannato a 5 anni di reclusione, Antonio Ciontoli, il papà della ragazza.

Adesso spuntano due ulteriori testimonianze: quella di Massimiliano Montini, “Massi” il datore di lavoro di Marco e quella del brigadiere dell’Arma dei Carabinieri Manlio Amadori, uno dei primi ad intervenire sul luogo la sera in cui Marco Vannini venne ucciso. Il capo di Marco, “Massi” durante gli interrogatori è stato citato diverse volte, dato che la famiglia Ciontoli sosteneva che Marco dopo essere stato ferito urlasse: “Scusa Massi” smentendo la teoria dei vicini che affermavano di aver sentito più volte gridare Marco: “Scusa Marti” (il nome della sua fidanzata.

Ai microfoni dell’inviato GoliaMontini ha ammesso: “È una storia strana, assurda, da non capacitarsi. A distanza di molto tempo per me è come se fosse successo ieriMarco l’ho conosciuto nel 2013 era un ragazzo modello, il figlio che vorresti avere: serio, educato, buono e disponibile, una bellissima persona. Parlarne non è facile, ti risale tutto, rivivi i sentimenti e le emozioni che hai provato in quei giorni, è molto difficile. Nel 2015 ci siamo sentiti per la stagione che doveva fare, ho ancora i messaggi sul telefono, non li cancello“. Con Marco si erano sentiti pochi giorni prima della tragedia e il ragazzo aveva lavorato sabato 16 e domenica 17, il giorno stesso dell’omicidio: “Quel giorno ci siamo salutati dovendo rivederci la prossima settimana, gli ho dato il compenso dei due giorni di lavoro, 100 euro. Mai stati ritrovati i soldi, io sono stato anche a testimoniare a processo in merito, ma niente“.

Giulio Golia allora ipotizza che il denaro potesse essere stato conservato dalla vittima all’interno dei vestiti che indossava quella sera, mai riconsegnati alla famiglia: “Marco venne a lavorare con un paio di calzoncini celesti e bianchi e la canottiera da bagnino. Quei calzoncini che aveva quando è stato portato al pronto soccorso non erano i suoi

Marco Vannini, i legali di Antonio Ciontoli: “Non possiamo crocifiggere una persona per un errore. Anche la famiglia Ciontoli ha sofferto”

I legali della famiglia Ciontoli tornano a parlare della terribile vicenda che ha visto coinvolto Marco Vannini e la famiglia della fidanzata di Marco, Martina Ciontoli. La colpa è grave ma non possiamo crocifiggere una persona per un errore. Ciontoli non era una persona esperta di armi e quello che può avere fatto in una frazione, in attimi, non è una cosa che poteva controllare.” 

Le dichiarazioni sono state rilasciate ai giornalisti durante una tumultuosa conferenza stampa. I legali sostengono che “nessun elemento probatorio è emerso circa l’eventuale esplosione volontaria del colpo di pistola da parte di Antonio Ciontoli”.  Poi mandano un messaggio alla vittima: “Voglio rivolgere un pensiero al povero Marco. Stroncare una vita a 20 anni è una tragedia e noi siamo solidali con la famiglia ma una tragedia simile l’hanno vissuta e continuano a viverla anche i Ciontoli…”, perché, a detta dei legali, perseguitati da quel ricordo e dai giornalisti.

Marco Vannini, la rabbia dei genitori: “Assurdo non aver previsto le aggravanti”

Assurdo e sconcertante non aver previsto le aggravanti” . Queste sono le dichiarazioni dell’avvocato della famiglia Vannini, tornata a discutere della terribile sentenza a distanza di quasi due mesi. Antonio Ciontoli sarebbe stato condannato solo a 5 anni per l’uccisione del giovane 20enne Marco Vannini, ammazzato con la pistola d’ordinanza del padre della fidanzata di Marco.  “In questo secondo grado Ciontoli è stato riconosciuto colpevole di omicidio colposo con l’aggravante della colpa cosciente”, spiega il legale dell’accusa. “Quello che sconvolge, è l’inadeguatezza della pena. E’ stato sconcertante non aver previsto nessuna aggravante”.

Marco Vannini, mamma Marina: “Voglio riapertura delle indagini”

Nella puntata di questa sera, Chi l’ha visto? tornerà ad occuparsi del caso di Marco VanniniMarina Conte, la mamma del bagnino 20enne ucciso con un colpo di pistola dal padre della fidanzata, sarà ospite in studio da Federica Sciarelli. La donna non si arrende: vuole giustizia per la morte di suo figlio. La sentenza d’appello che ha ridotto la pena (da 14 a 5 anni) per Antonio Ciontoli ha fatto molto discutere. Per l’uomo è stato, infatti, derubricato il reato da omicidio volontario con dolo eventuale a omicidio colposo. Confermate invece le pene a 3 anni per la moglie Maria Pezzillo e i figli Federico e Martina;  assolta di nuovo Viola Giorgini. “Marco è morto e queste persone che hanno ucciso mio figlio la fanno franca” il commento di Marina che poi aggiunge: “La vita di Marco non vale cinque anni di carcere“.

Le indagini ripartano da zero, lo chiederò al ministro Bonafede – afferma la donna. – Il ministro della Giustizia mi ha chiamato invitandomi in Parlamento, colloquio che avverrà entro due settimane. Non vedo l’ora di dirgli di persona cosa penso delle attività investigative svolte sulla morte di mio figlio. E cosa penso del processo in generale: uno scandalo“, ribadisce la mamma del 20enne. Tanti sono infatti i punti oscuri sulla vicenda. Molti aspetti di quanto dichiarato dai Ciontoli riguardo quella maledetta sera del 17 maggio 2015 non tornano alla famiglia Vannini.

“Martina era a conoscenza della verità”

Marina è sicura: “Mio figlio non avrebbe mai permesso che Ciontoli entrasse in bagno mentre era in doccia. L’unica stanza ordinata e ripulita in modo maniacale era quella di Martina, di solito disordinata. Una coincidenza o la sua camera è stata rimessa a posto?“. I dubbi di Marina Conte sono anche sul ruolo di Martina, la fidanzata di Marco: “Non riesco a comprendere come si possa credere al fatto che Martina fosse in un altro luogo della casa, lei era a conoscenza della verità. Marco soffriva con un proiettile nel corpo che già gli aveva trapassato polmone e cuore e le sue urla si sentono benissimo nelle registrazioni telefoniche del 118“. 

Che fine ha fatto la maglietta di Marco?

Per la famiglia Vannini, le indagini dei carabinieri e della Procura di Civitavecchia non sono state eseguite correttamente. Fra i vari errori: la decisione di non sequestrare la villetta ed il telefonino di servizio di Antonio Ciontoli; la scelta di non utilizzare il luminol per scoprire le tracce di sangue ed eventualmente confrontare gli esiti con le deposizioni dei Ciontoli davanti ai giudici. “Una vergogna tutto questo, anche il fatto che non si sia mai cercata la maglietta che indossava Marco quella sera, una canottiera rossa. È stata bruciata? È stata nascosta?” dice Valerio Vannini, padre di Marco.

C’è poi la riproduzione dello sparo, chiesta dal generale Luciano Garofano, consulente della famiglia e non accettata dalla Corte d’Assise di Roma. “Oltre ad Antonio Ciontoli, gli altri familiari presenti in casa non potevano non riconoscere il rumore prodotto da un colpo di pistola in un ambiente chiuso. Un suono equivalente all’azionamento di un martello pneumatico da 130 decibel” dichiara l’ex comandante dei Ris di Parma. “Al ministro Bonafede elencheremo tutte le anomalie e pretenderemo si torni indietro nelle indagini perché è grave che il luminol non sia stato usato dai carabinieri” concludono Marina e Valerio.

Marco Vannini, parlano gli infermieri: “La famiglia Ciontoli impedì i soccorsi”

Christian e Ilaria sono infermieri. Nella notte tra il 17 e il 18 maggio 2015 furono chiamati da una famiglia di Ladispoli che chiedeva soccorso per un giovane gravemente ferito in casa. Quel ragazzo si chiamava Marco Vannini ed il suo caso è tuttora uno dei casi di cronaca nera più chiacchierati degli ultimi anni.  I due ragazzi del pronto intervento, chiamati dalla famiglia Ciontoli, ritenuta coinvolta nei drammatici eventi che hanno portato alla morte il giovane Marco di soli 20 anni, hanno ripercorso la storia di quella tragica notte durante un’intervista rilasciata a “Le Iene“.

Ciò che emerge da quelle testimonianze non fa che accentuare perplessità e dubbi sulla vicenda. I due infermieri vennero prima chiamati e poi fatti desistere dal fare l’intervento di soccorso. “Avrei voluto fare di più se me l’avessero concesso ma siamo stati ingannati. Siamo scesi dall’ambulanza e ho chiesto a Martina Ciontoli cosa stesse accadendo” racconta Ilaria.Stando alle testimonianze degli infermieri, il padre di Martina, Antonio Ciontoli avrebbe minimizzato sull’accaduto parlando di una caduta del giovane su di “un pettine appuntito“. Successivamente il ragazzo “sarebbe stato colto da un attacco di panico”. Solo una volta giunti al Pronto Soccorso, Antonio Ciontoli avrebbe cominciato a parlare di ferita da arma da fuoco. “In una situazione di emergenza esiste la “Golden hour“. Continuano gli infermieri. “Un momento delicato dove si raccolgono le informazioni più importanti per poter agire per tempo. A noi tutto questo ci è stato impedito“.

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