Era fine ottobre quando un misterioso ritrovamento di ossa sotto un pavimento della Nunziatura Apostolica a Roma ha riacceso i riflettori sul caso di Emanuela Orlandi. Della cittadina vaticana, all’epoca quindicenne, non si hanno più notizie dal giugno 1983. In questi 35 anni, tante le piste investigative seguite così come tanti sono stati anche i depistaggi e gli sciacallaggi sulla vicenda. L’ultimo, proprio quello dei resti rinvenuti a Villa Giorgina. Quelle ossa non appartengono ad Emanuela, né tanto meno a Mirella Gregori, l’altra quindicenne scomparsa a Roma nello stesso anno. Appartengono ad un uomo e risalgono ai primi secoli dopo Cristo. È quanto si apprende da fonti interne la Polizia Scientifica di Roma. Ci si chiede allora dove possa essere nata quest’associazione, dato che non è stata messa in circolo né dalle forze istituzionali e né dal Vaticano.
Per quanto riguarda le analisi sui resti, come scrive Cronaca&Dossier, si è trattato di un processo minuzioso e dalla tempistica articolata. Lo scheletro ritrovato sotto il pavimento della dependance di Villa Giorgina era in ottime condizioni per completezza e integrità, si è ricorso a una potente sega elettrica per tagliare il femore oggetto degli esami, ma la sua lunga inumazione aveva degradato il DNA, attaccato dall’umidità e dalla microfauna che si nutre proprio del patrimonio cromosomico.
Fatto ricorso a particolari tecniche di pulizia e di asciugamento delle ossa per poterle periziare, è stato possibile individuare, in almeno otto-dieci loro punti, la presenza dell’aplotipo Y ovvero di quel particolare elemento genetico caratterizzante i soggetti di sesso maschile (nelle donne è invece presente l’aplotipo X). La procura di Roma, intanto, continua a tenere aperto il fascicolo contro ignoti. Fascicolo che sarà aperto ancora per alcune settimane, almeno fino alla consegna della relazione della Polizia Scientifica, che dovrebbe avvenire entro la fine del gennaio 2019.
Emanuela Orlandi, il fratello attacca Papa Francesco
Continua la battaglia per la verità di Pietro Orlandi. Ai microfoni di Radio Cusano Campus, il fratello di Emanuela rilancia il suo appello al Vaticano. “Se mia sorella è morta, credo che dopo 35 anni sia ora di fare qualcosa per ritrovarla, per ritrovare almeno il suo corpo e dare relativamente pace a me e alla mia famiglia. E poi cercare di capire come è morta, chi l’ha rapita e uccisa, perché due cose sono certe: Emanuela non è scappata di casa e non si è suicidata.”
“Sollecitiamo continuamente la Santa Sede a fare qualcosa per arrivare alla verità sulla scomparsa di mia sorella. Il problema è che non ci danno risposte e questa è la cosa più assurda, cioè è difficile anche riuscire a fissare un appuntamento tra il nostro avvocato e il Procuratore di giustizia del Vaticano; non dico che si fanno negare, ma quasi. Un muro di gomma, una situazione veramente assurda. Papa Francesco, almeno a Natale, dica una parola su Emanuela! Ma non la dirà mai. Mi disse solo Emanuela è in cielo, quindi sa che è morta?”
Pietro poi conclude: “Purtroppo dopo quella volta non sono più riuscito a parlarci nonostante le mie tante richieste per incontrarlo, per spiegargli tante cose, per capire il perché di quella sua frase. Purtroppo, il muro di gomma con Papa Francesco si è alzato più di prima. Per la Chiesa la scomparsa di Emanuela è un argomento chiuso, che deve restare chiuso. Perché la verità è un peso così grande per l’immagine della Chiesa che preferiscono subire tutti questi dubbi da parte dell’opinione pubblica e dei media, piuttosto che fare qualcosa per dirci come andarono le cose. E per tutto questo, dentro di me il livello di rabbia sale ogni giorno di più, ultimamente la rabbia sta superando il dolore”.