Sulle pagine del settimanale Giallo (che potete trovare in edicola dal 6 al 12 dicembre) la criminologa e psicologa forense Roberta Bruzzone commenta le motivazioni della sentenza della Cassazione su Massimo Bossetti. Lo scorso 12 ottobre i giudici della Suprema Corte hanno condannato all’ergastolo il muratore di Mapello. Per la giustizia non ci sono dubbi: è stato lui, quella maledetta sera del 26 novembre 2010, ad uccidere Yara Gambirasio. “Nelle 155 pagine delle motivazioni di condanna hanno demolito tutte le doglianze difensive, a cominciare dalla tanto sbandierata mancanza perizia genetica” esordisce la Bruzzone.
“I giudici spiegano anche che si può richiedere la perizia quando vi è evidenza dell’utilizzo di una metodica errata o superata e dell’esistenza di un metodo più recente e affidabile. Ma nulla di tutto questo emerge dagli atti” chiarisce la criminologa. L’esperta, riportando sempre le motivazioni della sentenza, commenta un’altra delle ipotesi portata avanti dalla difesa di Bossetti: quella del complotto. “Visto che la difesa ha utilizzato l’argomento anche in sede extra processuale – si legge nella sentenza -, è bene chiarire che la genericissima ipotesi della creazione in laboratorio del Dna dell’imputato, oltre ad appartenere alla schiera delle idee fantasiose prive di qualsiasi supporto scientifico e aggancio con la realtà, è manifestamente illogica“.
“Se si volesse seguire la tesi complottista legata anche alla necessità di dare in pasto all’opinione pubblica un responsabile è evidente che – ammessa solo per ipotesi la reale possibilità di creare in laboratorio un Dna – si sarebbe creato un profilo che immediatamente poteva identificare l’autore del reato senza attendere, come invece è accaduto, ben tre anni. – scrivono i giudici – Così come è fantasiosa l’ipotesi di una contaminazione volontaria da parte di terzi prima del ritrovamento del corpo della vittima“. Dunque anche per Roberta Bruzzone non ci sono dubbi: “Ergastolo confermato. Caso chiuso”
La Cassazione ha rilevato la piena coincidenza tra il profilo genetico catalogato come “Ignoto 1“, rinvenuto sulle mutandine della ginnasta, e quelle del muratore di Mapello. L’evidenza scientifica, frutto di “numerose e varie analisi biologiche effettuate da diversi laboratori”, ha “valore di prova piena“. “La probabilità di individuare un altro soggetto con lo stesso profilo genotipico equivale a un soggetto ogni 3.700 miliardi di miliardi di miliardi di individui“.
In 155 pagine i giudici della Suprema Corte rispondono ai venti motivi di ricorso della difesa. Quest’ultima sollevava diverse obiezioni, contestando la prova del Dna, la “catena di custodia” e i kit utilizzati. La Cassazione biasima i “reiterati tentativi di mistificazione degli elementi di fatto”, “amplificate da improprie pubbliche sintetizzazioni”. I giudici – si legge nella sentenza – hanno correttamente affermato che il profilo genetico è stato confermato da ben 24 marcatori, evidenziando a maggiore tutela dell’imputato, che la certezza dell’identificazione è particolarmente solida”, in quanto le linee guida scientifiche individuano un soggetto “con l’identità di soli 15 marcatori”.
“Riteniamo questa sentenza in violazione della convenzione dei diritti dell’uomo perché non è stato rispettato il diritto di difesa. Ricorreremo a Strasburgo” ha affermato Claudio Salvagni, il legale di Massimo Bossetti. “Le sentenze della Suprema Corte di Cassazione non sono distillati di verità, anche loro sbagliano. Sono umani, ma la scienza è scienza: una cellula senza Dna mitocondriale non esiste. Bossetti non si è potuto difendere perché non ha mai partecipato a nessuna perizia. Io gli atti di fede li faccio in chiesa. Io non mi fido e voglio partecipare alle perizie, non mi interessa dei risultati” commenta duramente l’avvocato.
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