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Chiara Poggi: ecco come è stata uccisa da Alberto Stasi

Sono passati ben 11 anni dall’omicidio di Chiara Poggi. L’impiegata, laureata in economia, viene trovata senza vita il 13 agosto 2007 dal fidanzato Alberto Stasi. I primi sospetti degli inquirenti si concentrano subito su di lui a causa dell’eccessiva pulizia delle scarpe, come se le avesse ripulite o cambiate dopo essere passato sul pavimento sporco di sangue, oltre che sull’assenza di sangue dai vestiti e su alcune incongruenze del suo racconto. Secondo gli investigatori, Chiara conosceva il suo assassino. La ragazza infatti aprì la porta in pigiama, in maniera spontanea e non furono rilevati all’interno dell’abitazione segni di effrazione. Chiara in quel momento era sola in casa, mentre i genitori e il fratello erano in vacanza.

Nel dicembre del 2015, la Corte di Cassazione conferma la sentenza-bis della Corte d’Appello di Milano condannando in via definitiva Alberto Stasi a 16 anni di reclusione, anche senza delineare un movente, parlando di un momento di rabbia di Stasi. La giovane fu uccisa dal fidanzato con un’azione connotata da “un rapido susseguirsi di colpi di martello al capo della vittima, sferrati all’ingresso dell’abitazione, con rabbia ed emotività“. L’omicidio – sempre secondo i supremi giudici – avvenne all’interno “‘di un rapporto di intimità scatenante una emotività”. “Ciascun indizio risulta integrarsi perfettamente con gli altri come tessere di un mosaico. Quest’ultime hanno contribuito a creare un quadro d’insieme convergente verso la colpevolezza di Alberto Stasi oltre ogni ragionevole dubbio”. E’ quanto afferma la Cassazione. 

La ricostruzione e le contraddizioni di Stasi

Chiara Poggi è stata uccisa da una “persona conosciuta, arrivata in bicicletta”, che lei stessa ha fatto entrare in casa. E chi vi ha fatto ingresso conosceva bene la villetta, “come desumibile anche dal percorso effettuato all’interno delle stanze del piano terra”. Alberto Stasi – scrivono i giudici – “ha fornito un alibi che non lo elimina dalla scena del crimine nella finestra temporale compatibile” con l’omicidio. Il giovane, allora studente della Bocconi, “ha reso un racconto incongruo, illogico e falso, quanto al ritrovamento del corpo senza vita della fidanzata. Sostenendo di aver attraversato di corsa i diversi locali della villetta per cercare Chiara. Sulle sue scarpe tuttavia non è stata rinvenuta traccia di residui ematici, né le macchie di sangue sul pavimento sono risultate modificate dal suo passaggio”.

La Cassazione ricorda anche che “Stasi non ha mai menzionato, tra le biciclette in suo possesso, proprio la bicicletta nera da donna” collegata alla macrodescrizione delle due testimoni. C’è poi il fatto che “sul dispenser del sapone liquido, utilizzato dall’aggressore per lavarsi le mani dopo il delitto, sono state trovate soltanto le impronte dell’anulare destro di Alberto Stasi”. Queste lo individuano come l’ultimo soggetto a maneggiare quel dispenser”; e anche la certezza che “l’assassino era un uomo che calzava scarpe n.42” ed Alberto possedeva e indossava anche scarpe della marca di quelle dell’aggressore, nonché di taglia 42″. “Tale quadro – ne concludono i giudici – non lascia alcuno spazio a versioni alternative, dotate di razionalità e plausibilità pratica” e quelle proposte dalla difesa dell’imputato non sono “sostenibili”.

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