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Primo Piano

Cassazione: il Dna sugli indumenti di Yara è quello di Massimo Bossetti

Sono state rese note le motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione che lo scorso 12 ottobre ha condannato all’ergastolo Massimo Bossetti. Per la giustizia non ci sono dubbi: è lui che quella maledetta sera del 26 novembre 2010 ha ucciso Yara Gambirasio. La Cassazione ha rilevato la piena coincidenza tra il profilo genetico catalogato come “Ignoto 1“, rinvenuto sulle mutandine della ginnasta, e quelle del muratore di Mapello. L’evidenza scientifica, frutto di “numerose e varie analisi biologiche effettuate da diversi laboratori”, ha “valore di prova piena“. “La probabilità di individuare un altro soggetto con lo stesso profilo genotipico equivale a un soggetto ogni 3.700 miliardi di miliardi di miliardi di individui“. 

In 155 pagine i giudici della Suprema Corte rispondono ai venti motivi di ricorso della difesa. Quest’ultima sollevava diverse obiezioni, contestando la prova del Dna, la “catena di custodia” e i kit utilizzati. La Cassazione biasima i “reiterati tentativi di mistificazione degli elementi di fatto”, “amplificate da improprie pubbliche sintetizzazioni”. I giudici – si legge nella sentenza – hanno correttamente affermato che il profilo genetico è stato confermato da ben 24 marcatori, evidenziando a maggiore tutela dell’imputato, che la certezza dell’identificazione è particolarmente solida”, in quanto le linee guida scientifiche individuano un soggetto “con l’identità di soli 15 marcatori”.

“Illogica l’ipotesi di un complotto”

Nelle motivazioni, i giudici hanno anche negato categoricamente l’ipotesi del complotto e della contaminazione, definendola come “illogica” e “fantasiosa“. “Visto che la difesa ha utilizzato l’argomento anche in sede extra processuale – si legge nella sentenza -, è bene chiarire che la genericissima ipotesi della creazione in laboratorio del Dna dell’imputato, oltre ad appartenere alla schiera delle idee fantasiose prive di qualsiasi supporto scientifico e aggancio con la realtà, è manifestamente illogica“.

“Se si volesse seguire la tesi complottista – continua la sentenza – legata anche alla necessità di dare in pasto all’opinione pubblica un responsabile è evidente che, ammessa solo per ipotesi la reale possibilità di creare in laboratorio un Dna, si sarebbe creato un profilo che immediatamente poteva identificare l’autore del reato senza attendere, come invece è accaduto, ben tre anni”, si legge ancora. Così come è “fantasiosa l’ipotesi di una contaminazione volontaria da parte di terzi prima del ritrovamento del corpo della vittima“.

Massimo Bossetti, l’avvocato: “Dove sono i reperti dell’omicidio di Yara?”

Claudio Salvagni, avvocato di Massimo Bossetti, sulle pagine del settimanale Oggi, lancia l’allarme per i reperti dell’omicidio. “Dove sono finiti i reperti che riguardano l’omicidio di Yara? Girano voci sulla loro possibile distruzione, che sono strane e inquietanti anche perché con Bossetti non è finita“. Nonostante il terzo grado di giudizio, infatti, Salvagni punta a una revisione del processo. “Noi cominciamo le nostre indagini difensive che ci porteranno alla richiesta di revisione del processo” afferma.

“Per le nostre indagini – spiega l’avvocato – ne abbiamo assolutamente bisogno. Dagli indumenti alle scarpe al materiale genetico alle intercettazioni a tutto ciò che Yara aveva nelle tasche o addosso“. Quei reperti, a detta di Salvagni, potranno diventare decisivi. “Perché il progresso nei laboratori scientifici è continuo. Quello che non può essere analizzato e scoperto oggi lo diventerà sicuramente fra un anno o due. La soluzione, dopo quasi 20 anni, del giallo della contessa uccisa all’Olgiata è una conferma” dice l’avvocato.

Che la difesa del carpentiere bergamasco avesse intenzione di nuove azioni legali si sapeva già dopo la lettura della sentenza della Cassazione. “Non ci fermiamo qui. Si può fare ancora qualcosa. Leggeremo le motivazioni della sentenza e poi decideremo come muoverci. Valuteremo se ricorrere alla Corte Europea dei diritti dell’uomo” avevano dichiarato Salvagni e Paolo Camporini a seguito del verdetto.

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