Un misterioso ritrovamento di ossa, sotto un pavimento della Nunziatura Apostolica a Roma, ha fatto tornare alla ribalta il caso di Emanuela Orlandi. Quest’ultima scomparve in circostanze misteriose nel 1983, quando aveva solo quindici anni. In tutto questo tempo, la famiglia Orlandi ha combattuto e combatte ancora per la verità sulla scomparsa della ragazza. Tante sono poi le piste seguite dagli investigatori. Alcune di queste hanno coinvolto lo Stato Vaticano; l’Istituto per le Opere di Religione (Ior); la Banda della Magliana; il Banco Ambrosiano; Mehmet Alì Agca (il criminale turco responsabile dell’attentato del 1981 a Giovanni Paolo II); il governo italiano e i servizi segreti di diversi paesi.
A far parlare, in tutti questi anni, sono state anche delle insinuazioni circa una presunta “rete” di preti pedofili che avrebbe adescato la ragazza. Padre Amorth, famoso esorcista al soldo della Santa Sede, in suo libro aveva raccontato proprio che Emanuela avrebbe perso la vita durante una violenza sessuale subita da uomini della Chiesa. Ha poi fatto discutere un’ipotesi simile, portata alla ribalta negli anni 2011/2012 dal Corriere della Sera: la pista dei preti pedofili a Boston.
A certificare il legame tra la scomparsa della quindicenne e la città americana sarebbero stati un timbro e un fermo posta. Questi ultimi localizzati entrambi in Kenmore Station, centro di Boston. Il Corriere della Sera sottolinea che il primo, il timbro, risale alle prime rivendicazioni del caso Orlandi-Gregori. Il secondo, il fermo posta, fu usato dall’associazione pedofili Nambla, la North American man boy lover association, ed è venuto alla luce 19 anni dopo.
Lo scandalo pedofilia a Boston
Nel gennaio 2002 a Boston scoppia lo scandalo pedofilia. L’arcivescovo Bernard Francis Law è accusato di aver coperto, in quei primi anni Ottanta, gli abusi sessuali di decine di prelati. Si apre il processo, Law si scusa e durante l’interrogatorio gli viene chiesto se è vero che “32 uomini e due ragazzi hanno formato il gruppo Nambla (l’associazione pedofili). Per contattarlo si può scrivere presso il Fag Rag, Box 331, Kenmore Station, Boston”. Lui, il cardinale, lo ammette: sì, è tutto vero. Fag Rag significa “giornalaccio omosessuale”, che, come scrive il Corriere della Sera, faceva proseliti per conto del sodalizio pedofili.
Entra in scena l’ “Amerikano”
Nel luglio 1983 Papa Giovanni Paolo II è appena rientrato dai viaggi in Polonia, e il 3 luglio, durante la preghiera dell’Angelus, dice: “Sono vicino alla famiglia Orlandi“. Il 5 luglio arriva al Papa la prima telefonata del personaggio diventato poi noto come l’ “Amerikano”. La richiesta è secca: libereremo la ragazza in cambio del rilascio di Alì Agca. Le telefonate si susseguono per tutto il mese, poi all’improvviso il silenzio. Ad agosto entra in campo un altro soggetto, il Fronte Turkesh: ma i messaggi, come scopre successivamente l’ex giudice Ferdinando Imposimato, sono solo depistaggi della Stasi e del Kgb per tenere sotto scacco l’odiato pontefice anticomunista.
Il 4 settembre, ecco di nuovo l’Amerikano: è sua una busta trovata in un furgone Rai in cui ci sono un messaggio a penna e uno spartito appartenente a Emanuela. Poco dopo, il 12 settembre, al bar di papà e mamma di Mirella Gregori arriva una telefonata, in cui un anonimo elenca i vestiti della ragazza e la marca della biancheria intima. Infine, il 23 settembre, a Richard Roth, corrispondente da Roma della Cbs, arriva una lettera che preannuncia qualcosa di molto importante. E qui gli inquirenti concordano: siamo di fronte ai veri rapitori di Emanuela, o comunque a quelli che l’hanno tenuta prigioniera.
Il legame con la scomparsa di Emanuela
Il punto di contatto tra le due vicende, scoperto dal Corriere nel 2012, è rappresentato dal fatto che una delle quattro lettere che i rapitori di Emanuela fecero partire da Boston, nella quale si annunciava l’uccisione dell’ostaggio, aveva il timbro di Kenmore Station: lo stesso ufficio postale nel quale la congrega di pedofili in tonaca aveva aperto una propria casella per contattare le vittime. Scrivendo dalla East Coast, i sequestratori delle quindicenni romane intendevano forse “dialogare” in codice? Volevano forse far sapere ai loro avversari in Vaticano, in modo criptato, “attenti che siamo a conoscenza dello scandalo, e quindi vi conviene accettare le nostre richieste?” scrive il giornalista investigativo Fabrizio Peronaci.