Caso Stefano Cucchi: nuove prove stanno venendo fuori negli ultimi giorni. In particolare, si tratta di una telefonata pubblicata dal sito Repubblica, un audio davvero incredibile che riporterebbe una telefonata intercettata dagli agenti della Squadra mobile della Polizia nel pomeriggio del 22 settembre scorso e depositata dal pm Giovanni Musarò agli atti del processo per l’omicidio di Stefano Cucchi.
Nell’audio si sente indistintamente il maresciallo Labriola che dice: “Se indagano me devono farlo anche con i miei superiori”. Il colloquio avviene fra uno degli indagati, il maresciallo Massimiliano Colombo Labriola, comandante della stazione dei carabinieri di Tor Sapienza e l’appuntato Gianluca Colicchio. Colicchio, spiega Repubblica, è “insieme all’appuntato Francesco Di Sano, il carabiniere che conosce, come del resto il maresciallo Colombo, la storia di quei falsi. Chi li ordinò, chi fece pressione perché all’ordine venisse dato corso (il maggiore Luciano Soligo, comandante della stazione Montesacro Talenti e superiore gerarchico del maresciallo Colombo), e dunque come l’intera catena di comando fosse al corrente di quella cruciale manipolazione di atti destinata a indirizzare la ricerca della verità lontano dai responsabili del pestaggio (i carabinieri in servizio alla stazione Appia che arrestarono Stefano la notte tra il 15 e 16 ottobre 2009)”.
Omicidio Stefano Cucchi, le intercettazioni che danno una svolta: la verità viene fuori
Nuovo filone di indagini sulla morte di Stefano Cucchi. Sono almeno 6 le persone indagate nell’omicidio del giovane e si ipotizza il reato di falso. Si tratta di 5 carabinieri e un avvocato, parente di uno dei carabinieri. Tra i militari dell’Arma, risulta iscritto nel registro anche il tenente colonnello Francesco Cavallo, all’epoca dei fatti capo ufficio comando del Gruppo carabinieri Roma. Secondo quanto emerge dalle carte e in particolare da una mail allegata agli atti, sarebbe stato Cavallo a suggerire al luogotenente Massimiliano Colombo, comandante della stazione Tor Sapienza, di effettuare modifiche all’annotazione di servizio sullo stato di saluto di Cucchi, arrivato a Tor Sapienza dalla caserma Casilina.
Stefano Cucchi, le intercettazioni scioccanti: “Magari morisse”
Tra gli atti depositati il 24 ottobre 2018 ci sarebbe anche un’intercettazione scioccante. In quest’ultima, un carabiniere (poi imputato per calunnia nel processo davanti alla prima corte d’assise) parlava al telefono con il capoturno della centrale operativa del comando provinciale: “Magari morisse, li mortacci sua“, avrebbe detto all’alba del 16 ottobre del 2009, poche ore dopo l’arresto di Stefano Cucchi. In particolare il militare fa riferimento alle condizioni di salute del 31enne geometra che si trovava in quel momento nella stazione di Tor Sapienza, dopo essere stato pestato alla caserma Casilina. “Mi ha chiamato Tor Sapienza – dice il capoturno della centrale operativa -. Lì c’è un detenuto dell’Appia, non so quando ce lo avete portato se stanotte o se ieri. È detenuto in cella e all’ospedale non può andare per fatti suoi”. E l’altro: “È da oggi pomeriggio che noi stiamo sbattendo con questo qua”.
Stefano Cucchi, il pm: “Una storia piena di falsi”
“Questa storia è costellata di falsi, subito dopo il pestaggio ed è proseguita in maniera ossessiva anche dopo la morte di Cucchi. C’è stata un’attività di inquinamento probatorio che ha indirizzato in modo scientifico prove verso persone che non avevano alcuna responsabilità. Persone che sono state sottoposte a giudizio fino in Cassazione e ora sono parte civile perché vittime di calunnie”. Sono queste le parole del pm Giovanni Musarò. Dichiarazioni che arrivano in apertura di udienza del processo a carico di 5 carabinieri per la morte di Stefano Cucchi. Il pm ha anche annunciato il deposito di nuovi verbali integrativi di indagine nel procedimento per falso.
Il pubblico ministero ha poi continuato. “Quello che ha detto il carabiniere Francesco Di Sano nell’udienza del 17 aprile è vero. La modifica dell’annotazione di servizio sullo stato di salute di Cucchi non fu frutto di una decisione estemporanea e autonoma di un militare. Fu l’esecuzione di un ordine veicolato dal comando di stazione, che a sua volta recepì un ordine dal comandante di compagnia, che a sua volta aveva recepito un comando dal gruppo“. Musarò ha così motivato la sua decisione di depositare nuovi atti istruttori. “Solo così si può capire il clima che si respirava in quei giorni e perché quella annotazione del 22 ottobre sia stata fatta sparire senza che nessuno ne parlasse per nove anni” ha aggiunto il rappresentante della accusa.
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