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“Non solo il dna. Contro Bossetti numerose prove” L’ipotesi di Roberta Bruzzone

La Cassazione si è pronunciata qualche giorno fa, precisamente il 12 ottobre 2018, nei confronti di Massimo Bossetti, accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio. I giudici della Suprema Corte hanno confermato la condanna all’ergastolo. Massimo Bossetti per i giudici è l’assassino di Yara. Il muratore di Mapello ha atteso la sentenza nel carcere di Bergamo, dove si trova dal 16 giugno del 2014. L’efferato omicidio della 13 enne di Brembate di Sopra, vista la sua brutalità, sconvolse l’intera opinione pubblica. Per Yara quel 26 novembre del 2010 era un giorno come tanti, dove una delle sue priorità era allenarsi nella disciplina che tanto amava: la ginnastica ritmica. In quel tardo pomeriggio però la sua vita è stata stroncata per sempre.

Un aeromodellista trovò il suo cadavere il 26 febbraio del 2011, in un campo aperto a Chignolo d’Isola, distante 10 chilometri circa da Brembate di Sopra. Nella requisitoria davanti ai giudici della Cassazione, il pg Mariella De Masellis ha chiesto la conferma all’ergastolo per il muratore. Il magistrato ha inoltre sottolineato che “è fantascienza che il Ris abbia creato un Dna artificiale servendosi di “marcatori scaduti”.  Aggiungendo che “gli esperti hanno convenuto sulla assoluta corrispondenza tra ‘Ignoto 1’ e l’imputato”. 

L’opinione di Roberta Bruzzone

La criminologa e psicologa forense Roberta Bruzzone è tornata sulla questione nella sua rubrica nel settimanale Giallo (che potete trovare in edicola dal 18 al 24 ottobre). L’esperta ha evidenziato come su Bossetti, oltre al Dna, che possiamo considerare la “prova regina”, gravino altre numerose prove. Il primo indizio, sottolineato dalla Bruzzone, è che il carpentiere bergamasco non era a casa al momento della sparizione di Yara. Il muratore si trovava nelle vicinanze della palestra con il suo furgone Fiat Iveco Daily. Ad incastrarlo ulteriormente, sarebbero le parole della moglie Marita Comi, intercettate in carcere: “Eri via quella sera. Non mi ricordo a che ora sei venuto e non mi ricordo neanche cosa hai fatto. E’ uscita dopo per la storia della scomparsa e non mi hai mai detto cosa hai fatto. Non l’hai mai detto.”

Il secondo indizio fa riferimento alla corrispondenza delle sostanze rinvenute sulle lesioni del cadavere di Yara di particelle di calce e quelle inerenti ai cantieri edili. Anche la terza prova, sottolineata dall’esperta, riguarda un’ulteriore corrispondenza scientifica: quella delle particelle sferiche di metallo rinvenute sugli indumenti della ragazzina e trovate nei sedili del furgone di Bossetti. Il quarto e il quinto indizio, evidenziati dalla criminologa, riguardano poi rispettivamente le visualizzazioni su computer di file contenenti immagini pornografiche di ragazze e ragazzine e l’atteggiamento del 48 enne nel corso delle intercettazioni ambientali. Per Roberta Bruzzone non ci sono dubbi: il delitto di Yara è stato un delitto a sfondo sessuale. La giovane ginnasta ha pagato con la vita il fermo rifiuto opposto al suo assassino mentre si trovava nel campo di Chignolo.

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