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Federico Aldrovandi morto per mano dei poliziotti: la tragica storia a 13 anni dall’omicidio [VIDEO]

Sono passati 13 anni dall’uccisione di Federico Aldrovandi, il 18enne morto a Ferrara il 25 settembre del 2005. La sua tragica storia non può e non deve essere dimenticata. Federico era un ragazzo come tanti. All’età di 14 anni aveva iniziato a frequentare l’Itis di elettronica, aveva diversi hobby e nel tempo libero amava andare a lezione di karate e suonare il clarinetto. A scuola, come racconta il documentario di Filippo Vendemmiati (“È stato ucciso un ragazzo“, ndr), Federico aderisce e si impegna ad un progetto della Asl di Ferrara per la prevenzione delle tossicodipendenze. Di tanto in tanto lavorava come pony express in una pizzeria della città ed era in attesa di dare l’esame per la patente. Insomma una vita semplice. Il 24 settembre del 2005 andò con alcuni amici in un centro sociale di Bologna per ascoltare un concerto. Nel corso della serata assunse una quantità ridotta di alcol e di droga. Poco prima dell’alba il gruppetto di amici decisero di rientrare a Ferrara. Federico Aldrovandi si fece lasciare dai suoi amici nei pressi di via Ippodromo, non lontano da casa. Una pattuglia con due poliziotti fermò il ragazzo per un controllo. Gli agenti, in sede di processo, sostennero che era un invasato, in evidente stato di agitazione, tesi smentita dagli amici i quali descrivevano il ragazzo come lucido. I militari sostennero di essere stati aggrediti e di aver chiamato i rinforzi: un’altra voltante con a bordo due poliziotti. Dopo una violenta colluttazione, verso le 6 del mattino, gli agenti chiamarono un’ambulanza che, in pochi minuti, raggiunse via Ippodromo. Federico Aldrovandi era riverso a terra, con le mani ammanettate dietro alla schiena. Vani i tentativi di soccorrerlo. Il 18enne morì per arresto cardio-respiratorio e trauma cranico-facciale poco dopo le 6 del mattino.

I genitori del ragazzo vennero avvertiti della morte del figlio soltanto alle ore 11. La notizia diffusa inizialmente attribuiva la morte di Federico per un malore. Una ricostruzione che però non ha mai convinto i familiari del ragazzo, soprattutto per le lesioni riportate sul corpo ormai privo di vita. Dopo una lunga battaglia per conoscere la verità sull’accaduto, nel 2007 si arriva a processo. Al banco degli imputati con l’accusa di omicidio colposo vi erano i quattro agenti della polizia: Monica Segatto, Paolo Forlani, Enzo Pontani e Luca Pollastri. Ad aggravare la posizione degli agenti vi era la testimonianza di una donna che raccontava di aver assistito ad alcune fasi della colluttazione. I giudici accolgono la perizia del professor Gustavo Thiene dell’Università di Padova, secondo cui la morte di Aldrovandi è stata causata da una asfissia per compressione toracica. La pressione esercitata sul tronco ha determinato, secondo Thiene, lo schiacciamento del cuore che ha poi portato alla morte. La sentenza di primo grado arriva soltanto nel 2009 e il giudice Francesco Maria Caruso condannò per omicidio colposo a 3 anni e 6 mesi di carcere i quattro poliziotti. Nel giugno del 2011 la Corte d’Appello di Bologna confermò la sentenza di primo grado. Nel 2012 la Cassazione rese definitiva la sentenza contro gli agenti. I quattro poliziotti vennero sospesi però per sei mesi dal servizio. Gli agenti condannati beneficiarono dell’indulto. Il 29 gennaio del 2013, il Tribunale di sorveglianza di Bologna stabilì che i condannati avrebbero trascorso in carcere solo 6 mesi di pena residua. Dopo sessanta giorni, Monica Segatto, venne scarcerata grazie al cosiddetto decreto svuota-carceri e le vennero concessi i domiciliari. Passati i 6 mesi, gli agenti vennero reintegrati dalla polizia. Nel gennaio del 2014 tre di loro tornarono in servizio in sedi lontane da Ferrara, occupandosi però di faccende d’ufficio. Il fatto che i condannati siano tornati in servizio, indossando nuovamente la divisa, ha provocato dure reazioni nei familiari di Federico Aldrovandi la cui battaglia, in questi anni, è stata sostenuta da numerosi cittadini.

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