Era inevitabile. Sì, era inevitabile che Silvio Muccino, impegnato nella promozione del suo nuovo film Le leggi del desiderio (nelle sale da oggi, 26 febbraio), si trovasse ad affrontare pubblicamente la questione relativa al rapporto con suo fratello Gabriele. Lo sanno tutti: i due non si parlano da sette anni. E mentre il maggiore si è sfogato più volte tramite i social network (salvo poi pentirsene a volte e a volte no), sferrando anche attacchi fin troppo energici, il minore finora ha scelto la strada del silenzio. Finora. Solo che poi, anche grazie al suo manager – che è anche un confidente e grande amico – si è reso conto che non sempre il silenzio è una strada giusta da percorrere, perché rischia di essere riempito con le parole altrui. Così, ospite di Daria Bignardi nel salotto de Le invasioni barbariche, ieri Silvio ha risposto a tutte le domande. E messo in chiaro che “il dolore urlato non è più grande del dolore silenzioso“. Concetto fondamentale, in effetti.
Ha guardato in faccia la realtà, ha persino accettare di nominare la persone che, secondo Gabriele, è la colpevole del loro allontanamento: Carla Vangelista, sceneggiatrice degli ultimi suoi film. La donna che ha plagiato Silvio, secondo Gabriele. Un’accusa pesantissima, che il più giovane dei fratelli ha respinto con determinazione. Facendo anche presente come possa essere dannosa, prima di tutto per la Vangelista stessa. Per la prima volta Silvio ha mostrato tutta la sua amarezza e sofferenza. E anche il suo sdegno: “Mio fratello ha reso questo dolore mio, suo, nostro, uno spettacolo pubblico, un triste reality show“. Di ricucire i rapporti pare non voglia proprio saperne. Anche se sottolinea che è “raggiungibile”, che non si è affatto volatilizzato come da sempre sostiene Gabriele.
La frattura, per il momento, appare insanabile. Però una cosa bisogna dirla: sarebbe giunto il momento di finirla. Di lasciare che certe situazioni siano private, o perlomeno tornino a esserlo. E si spera vivamente che “Muccino il grande”, per una volta, decida di tacere. Almeno per quanto riguarda la sfera pubblica.
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